Baustelle

La Canzone del Parco

I Baustelle ti narrano il mondo da prospettive spiazzanti, ribaltano osservanti e osservati, soggetto e oggetto; ti fanno masticare lucertole nei panni de “Il corvo Joe” o in “Alfredo” finisci a guardare dal pozzo più guardato d’Italia. In questa canzone ti trasformano fino a farti prendere le sembianze di un albero, anzi, no, di un parco intero. In questo parco si riuniscono un lui e una lei, giovani, giovanissimi: d’altronde, è un brano de Il sussidiario illustrato della giovinezza (2000).
Un lui e una lei fragili, ancora «indecisi» nel loro incedere, ma alla fine si vedono sempre lì, al solito posto e alla solita ora. Quando? Dopo la scuola: e si amano, si amano in quel momento; perché proprio non possono aspettare, non possono aspettare un solo secondo, un solo minuto: figurarsi domani... Anzi «domani è lontano», dice lei o dice lui, chissà.

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Il lui e la lei si promettono il loro amore e lo fanno con l’eccesso e la sdolcinatezza dell’età, incidendo un grande albero, un platano: tu invece li hai sempre immaginati sotto alla grande sequoia del Melloni, il parco del quartiere della tua infanzia a Bologna. Cercano di lasciare un segno, un’eredità, un lascito senza debiti. Quello che davvero conta per loro è solo il momento: «Domani è lontano/ domani è lontano/ se mi ami ora/ domani è lontano/ se mi ami ora».
Chi invece non può amare è proprio il parco, essere che non solo non può amare, ma non può neanche accedere all’amore e alla sua temporalità, non all'amore di lei e lui, così ricco di desiderio, di potenza, di movimento: perché il parco non si muove, non si può muovere, la sua essenza è statica, immobile; e, «senza avere gli attimi», la sua temporalità è quella dell’eternità. Eppure il parco ci prova, prova a pensarsi nelle loro vesti, a chiedersi cosa significherebbe essere giovani amanti, a chiedersi cosa significa essere mortali.
Ti torna alla mente Le vite degli altri, il film in cui la spia protagonista capisce la bellezza della vita di chi deve intercettare, ne comprende la pienezza infinita, eppure non può portarla nella sua «esistenza», non può traslarla, assimilarla entro di sé; non può perché è altro: al più può solo invidiarla, venerarla e così proteggerla: sigillo sul segno lasciato; un’eternità che si confronta con il finito e così si scopre inutile, un’alterità assoluta, come quella del parco.

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E se scopri questa canzone mentre studi Filosofia non ti puoi non domandare se il parco non sia una sineddoche di altre eternità, l'Idea di Platone, l’Uno di Plotino, il Dio senza Figlio, la Sostanza di Spinoza. Ogni ricostruzione gerarchica, verticale, dell’Essere cade necessariamente nel problema della generazione, della creazione, della produzione-discendenza, nella differenziazione tra Uno e molti.
Ti torna così alla mente una lezione di Paolo Vinci, prendi i tuoi appunti su Spinoza: «Nel principio dell'Etica, Spinoza pone i vari enti in una gerarchia verticale: una gerarchia che nel corso di tutta l’opera si trasforma in una a-gerarchia orizzontale tra modi, tra gli innumerevoli accidenti dell'unica sostanza. In altri termini: è proprio nella pluralità del molteplice finito che Dio accade, avviene, si realizza».

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Ma forse stai commettendo, ancora una volta, uno degli errori dei filosofi; perché, forse, i Baustelle non ti stanno parlando davvero di un altro mondo, di un eterno vivere, ma trasformandoti nel parco, ti impongono di guardare i due ragazzi, per ricordarti che non esiste altro che il loro vivere, per ricordarti di desiderarlo e reclamarlo, sempre: «Domani è lontano/ se mi ami ora».

(Giorgio P.)

Testo

Lui e lei ridono
Umidi baciano
Parole lievi
Leggère le piume

Se lui e lei fragili
Indecisioni
Al solito posto
La solita ora

Se lei e lui sabato
Dopo la scuola
Lo fanno sul serio
La colomba vola

Domani è lontano
Domani è lontano
Se mi ami ora

Se lui e lei ridono
Umidi baciano
Parole lievi

Leggère le piume
Se lei e lui timidi
Umidi scrivono
Platani
Con incisione di cuori

Sinceri se dicono
"Ti voglio bene"
Il parco sorride
La stagione viene

Se lei e lui nuvole
Di desideri
Si toccano puri
Il prato respira

Domani è lontano
Domani è lontano
Se mi ami ora
Domani è lontano
Se mi ami ora

Penso che
Ho di nuovo i brividi
E mi lascio prendere
Da domande inutili
Da poeti poveri

Sui miei rami umidi
Sulle foglie ultime
A che cosa pensano
Questi umani fragili
A che cosa servono
I miei rami stupidi

A che cosa servono
Se mi lascio prendere
Da pensieri inutili
Posso solo esistere
In eterno vivere

Senza avere gli attimi
Degli amanti giovani
Degli amori giovani
A che cosa pensano
Questi umani fragili

A che cosa servono
I miei rami stupidi
A che cosa servono
Se mi lascio prendere
Da pensieri inutili
A che cosa?