Lucio Dalla

Canzone

«Non so aspettarti più di tanto/ ogni minuto mi dà/ l'istinto di cucire il tempo/ e di portarti di qua». In questo periodo, in cui l’attesa è una fedele compagna ma anche necessità esistenziale, le parole di questa “Canzone” (1996) hanno un sapore di profezia dalle più diverse angolazioni da cui è possibile guardarla. Questo è il tentativo di racconto di un concittadino dell'autore che non si è mai professato cultore di Lucio Dalla, queste le due angolazioni che vi propongo.

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Partiamo dalla prima, quella che potrebbe essere considerata la sua cornice esteriore: il video, girato in una Napoli “underground” che unisce tradizione e modernità, memoria e futuro. Lucio Dalla ha deciso di ambientare la sua canzone in una delle città, insieme alla sua Bologna, che più ama. Se dieci anni prima l’aveva già omaggiata con l’indimenticabile “Caruso”, questa volta decide di guardarla non solo con la lente della tradizione, ma anche attraverso i cristalli liquidi di una tecnologia che esploderà con il millennio alle porte; perché è solo attraverso piccoli televisori LCD, tablet ante litteram, che Lucio deciderà di apparire in tutto il video: tra le mani di due scugnizzi che sfrecciano in motorino o di fronte allo splendido golfo napoletano, poco importa; perché il messaggio è chiaro, è Napoli la vera protagonista. E lui è ovunque: in quale miglior scenografia può volare una canzone in cerca del suo destinatario se non nei vicoli di Spaccanapoli o sulla cresta delle onde del mare?

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Ma spostiamoci alla seconda angolazione, con alle spalle il magico vestito che Lucio Dalla ha voluto regalare alla sua Canzone, cercando l'essenza della canzone, risalendo al momento della sua nascita e riuscendo così a godere appieno di questa poesia d’amore e sorridere dei suoi lati più buffi.
«Ho un materasso di parole/ scritte apposta per te/ e ti direi spegni la luce/ che il cielo c'è», prosegue la canzone, con versi che appaiono quasi metafisici, difficili da ricollegare con una realtà quotidiana e vissuta, per così dire “casalinga”: ma così non sarà...
Proviamo a immaginare di sprofondare in un materasso di parole scritte per noi e per noi soltanto, immaginiamoci di non dover neanche accendere la luce per poter vedere le stelle. Poetico vero? Ma cosa si nasconde dietro a questi versi?

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È grazie a una confessione che in una calda sera d'estate mi fece il co-autore della canzone, Samuele Bersani, che vi posso dire il significato di quei versi: eravamo io, lui e qualche altro migliaio di persone che lo ascoltavano, nel fantastico teatro del Foro Annonario di Senigallia, al Caterraduno di qualche anno fa. Fu in quella situazione, intimamente collettiva, che il cantautore di Cattolica decise di svelarmi come era nato quello che probabilmente è e sempre sarà uno dei suoi testi più riusciti.

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Era la metà degli anni Novanta, e il giovane Samuele - uno “sbarbo”, per noi bolognesi - studiava alla corte del grande Lucio, facendo la spola tra sale di registrazione e la vita che il capoluogo emiliano poteva offrire. In quel tempo stava con una ragazza di cui era follemente innamorato. Era talmente innamorato che, nel mezzo della travolgente passione, fu tremendamente piantato in asso, lasciato solo ed abbandonato. Soggiogato da quella depressione che solo un ventenne mollato dall’amore della propria vita può comprendere, Samuele iniziò a ciondolare senza soluzione di continuità.
Di questa infinita tristezza si rese conto il gran maestro, che probabilmente guardandolo oltre il vetro di una sala di incisione, notò che il suo discepolo non stava passando un bel periodo. Chiese così delucidazioni al ragazzo, e scoperta la situazione, dalla sua bocca uscì un consiglio, forse il consiglio. Qui il suo virgolettato, così come mi piace immaginarlo: “Devi canalizzare il tuo malessere; sei un compositore, sei un musico; per tua fortuna hai un lavoro creativo: devi quindi trasformare tutta la tua tristezza e farla uscire attraverso l’arte. Usa questa spinta che hai dentro ed invece di lasciarla appassire nella disperazione falla sbocciare attraverso un atto creativo. Scrivi!”. Con questo consiglio in tasca, fu così che Samuele tornò a casa e iniziò a fare quello che gli riusciva meglio.

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Erano gli anni Novanta, al tempo andava di moda riempire le stanze di quegli adesivi fosforescenti sul soffitto: chiunque come me sia stato bambino in quegli anni li ricorda come valido tentativo dei genitori per sconfiggere la paura del buio. E così, un po’ per combattere quella solitudine dopo l’addio amoroso e un po' per riempire quel senso di vuoto con un sano gesto ossessivo-compulsivo, il nostro autore iniziò a riempire il soffitto di tante piccole stelline fosforescenti.
E mentre aggiungeva stelline, iniziava a pensare ad una nuova canzone, una canzone che arrivasse fino a colei che l’aveva lasciato, perché la raggiungesse, perché la trovasse. Perché le dicesse «che non mi lasci mai», andando «tra le strade e tra la gente»; e glielo «dicesse veramente», d’altronde non sarebbe «potuta restare indifferente»! E «se fosse rimasta indifferente», in fondo «non sarebbe stata lei». E, alzando gli occhi fino al soffitto, pieno di stelline fosforescenti, cosa avrebbe potuto dirle? E «le direi spegni la luce/ che cielo c’è»…
Ecco la lente, ecco la chiave di lettura grazie a cui tutta la canzone, magicamente, cambia. Si svela il codice, si capisce meglio il canale. Una canzone che arrivasse dove lui non riusciva ad arrivare, ed allo stesso tempo un modo per rimodellare quel senso di perdita in qualcosa di nuovo, qualcosa di semplicemente bello.

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È un messaggio profetico di questi tempi. Siamo chiusi in casa? Siamo annoiati? Siamo tristi? Siamo come siamo. Ma una via d’uscita Lucio ce la consiglia, e forse proprio il progetto Ti racconto una canzone ne è la dimostrazione. L’unico modo per canalizzare il nostro stato di malessere o inattività, qualunque esso sia in ognuno di noi, è uno: la creatività. Che sia una canzone, una relazione, una ricetta, un ballo, una fotografia, un romanzo, un disegno, un mobile di legno, una pianta, un cocktail o qualsiasi altra cosa, creiamo! Creiamo tutto ciò che volevamo fare da tempo e non abbiamo mai fatto con la scusa del poco tempo. Creiamo ciò che neanche immaginavamo, ma che avevamo dentro da troppo tempo. Samuele lo ha fatto, a tutti voi il giudizio sul risultato.

(Tomaso Bernardi)

Continuiamo a raccontare con Lucio Dalla e il suo Anno che verrà

Testo

Non so aspettarti più di tanto
Ogni minuto mi dà
L'istinto di cucire il tempo
E di portarti di qua

Ho un materasso di parole
Scritte apposta per te
E ti direi spegni la luce
Che il cielo c'è

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide

Testa dura testa di rapa
Vorrei amarti anche qua
Nel cesso di una discoteca
O sopra al tavolo di un bar

O stare nudi in mezzo a un campo
A sentirsi addosso il vento
Io non chiedo più di tanto
Anche se muoio son contento

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide

Canzone cercala se puoi
Dille che non mi perda mai
Và per le strade tra la gente
Diglielo veramente

Io i miei occhi dai tuoi occhi
Non li staccherei mai
E adesso anzi io me li mangio
Tanto tu non lo sai

Occhi di mare senza scogli
Il mare sbatte su di me
Che ho sempre fatto solo sbagli
Ma uno sbaglio che cos'è?

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide

Canzone cercala se puoi
Dille che non mi lasci mai
Và per le strade tra la gente
Diglielo dolcemente

E come lacrime la pioggia
Mi ricorda la sua faccia
Io la vedo in ogni goccia
Che mi cade sulla giacca

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide

Canzone trovala se puoi
Dille che l'amo e se lo vuoi
Và per le strade tra la gente
Diglielo veramente

Non può restare indifferente
E se rimani indifferente non è lei

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide

Stare lontano da lei
Non si vive
Stare senza di lei
Mi uccide